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Calcio? “Certo”. Calcetto? “Meglio di no”. Ma a che gioco stiamo giocando?

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In considerazione dell’attuale situazione epidemiologica nazionale, con il rischio di ripresa della trasmissione virale in cluster determinati da aggregazioni, come negli sport da contatto, riteniamo al momento di non poter assumere decisioni al riguardo che siano difformi rispetto alle raccomandazioni sul distanziamento fisico“. calcetto quando riapre

E’ quanto espresso dal Comitato tecnico scientifico riguardo il calcetto e qualsiasi altra forma di attività fisica di gruppo a livello amatoriale, ai tempi del Coronavirus.

Eppure in qualche regione si è già dato il via a partitelle tra amici che, nonostante i muscoli arrugginiti e le mille misure di prevenzione e sicurezza, non hanno proprio voluto rinunciare a scarpette e pallone.

Gli esperti, però, frenano l’entusiasmo.

Cosa sta succedendo? calcetto quando riapre

Il motivo? Quasi impossibile evitare i contatti ravvicinati. In panchina, negli spogliatoi… “Troppo pericoloso. La percentuale che il virus circoli più rapidamente sarebbe fin troppo alta. Perché rischiare?“.

Così gli scienziati, che intendono rimandare gli sport di squadra a qualche settimana più tardi. Ma mica gli amanti del calcetto possono aspettare. E il 25 giugno è stato l’inizio di una nuova vita per chi non può fare a meno dei campetti polverosi in compagnia di colleghi o parenti.

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L’assembramento? Non fa paura. Non spaventa in piazza, nelle fiere di paese, in un centro commerciale, e nei pub del fine settimana. Perché dovrebbe terrorizzare allora gli “aspiranti calciatori”?

In poche parole: perché mettere i bastoni tra le ruote a chi vuole divertirsi facendo attività fisica, se poi, in tutte le altre circostanze, il metro di distanza continua a non essere rispettato?

Par condicio, certo. Ma per tutti. Amatori e… professionisti.

In quest’ultimo caso esistono protocolli specifici di diagnosi e controllo“. Pratiche continue, ovvio, che precedono ogni gara ufficiale o allenamento, e che richiedono anche un dispendio di denaro significativo (risorse impiegabili anche per le “persone comuni” che, invece, spesso, sono costrette a elemosinare un tampone… Ma questa è un’altra storia).

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Sintomi di un sistema che rivela tutte le sue contraddizioni, a tratti comiche, se ci si pensa.

Aggregazioni per cui si può chiudere un occhio (o mettere una benda su entrambi), e aggregazioni da scongiurare (per carità!) come fossero le piaghe d’Egitto. Ma riflettiamo: in fondo si tratta di lavoro in tutti e due i casi, di necessità di guadagnarsi da vivere.

Sono costretti a farlo i ristoratori, chi lavora nel mondo dello spettacolo, e tutti coloro che hanno il compito di coccolare il tempo libero dei cittadini. Perché allora non possono godere di questo “privilegio necessario” i gestori delle strutture sportive?

Che poi qualcuno punta il dito contro gli interessi economici del calcio professionale, gli sponsor, le società: “Ecco perché lì giocano e nessuno fiata“. Ma, a pensarci, in fondo, non ci sono interessi “quotidiani” a cui anche chi si occupa di sport amatoriale deve far fronte? E se non esistono altre tipologie di aiuto più immediato, non resta che riaprire. Si è obbligati!

Insomma, prevenzione sì, ma… o tutti o nessuno! Perché se l’Italia, come dice qualcuno, non può vivere senza calcio, gli italiani non possono vivere… senza calcetto.

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